Indicare il consumo effettivo potrebbe consentire di superare la posizione dell’agenzia delle Entrate che non ritiene fringe benefit il rimborso effettuato dal datore di lavoro al dipendente
La risposta a interpello 421/2023, con cui l’agenzia delle Entrate ha chiarito che i rimborsi delle ricariche elettriche – erogati dal datore di lavoro ai dipendenti con auto a uso promiscuo – sono soggetti a tassazione, sta facendo nascere dei dubbi nelle aziende sull’opportunità di proseguire o meno nel processo di elettrificazione del proprio parco auto. Ciò a causa della disparità di trattamento fiscale, paradossalmente a svantaggio dei veicoli elettrici rispetto quelli a combustione.
La riflessione di fondo di molti fleet manager è che, in tali scelte, la fiscalità è una importante discriminante, considerate anche le difficoltà che la transizione ecologica comporta, in termini di nuovo approccio all’utilizzo dei veicoli (autonomia, scarsità di stazioni di ricarica, eccetera).
Invero, la legge di bilancio 2020, al fine di incentivare il ricorso all’utilizzo di veicoli ecologici (di nuova immatricolazione, concessi in uso promiscuo a decorrere dal 1° luglio 2020), ha previsto una disciplina graduata in relazione al livello di emissione di anidride carbonica da parte dei veicoli stessi. Infatti, ai fini del calcolo del valore imponibile, si assume l’importo corrispondente a una percorrenza convenzionale di 15.000 km del mezzo – calcolato sulla base del costo chilometrico di esercizio desumibile dalle tabelle Aci – cui si applica una percentuale variabile tra il 25% e il 60% in ragione delle emissioni.
Inoltre, per i veicoli endotermici, il sostenimento diretto del costo dei rifornimenti da parte dell’azienda, anche tramite fuel card, non crea alcuna materia imponibile per il dipendente assegnatario, in quanto il carburante è una componente del costo di esercizio del veicolo elaborato dall’Aci, elemento alla base del calcolo del fringe benefit. Non si costituisce, perciò, alcun compenso in natura autonomo, oltre a quello del veicolo.
In ogni caso, la base imponibile da assoggettare a tassazione «prescinde da qualunque valutazione degli effettivi costi di utilizzo del mezzo» ed è scollegata dalla reale percorrenza del veicolo (circolare 326/1997 del ministero delle Finanze).
Invece i veicoli elettrici, per loro stessa natura, sono spesso ricaricati con la wallbox installata presso l’abitazione del lavoratore.
Nonostante anche tali importi siano inclusi nel costo chilometrico di esercizio, secondo l’orientamento dell’amministrazione finanziaria, in generale, i rimborsi esclusi da tassazione sono solo quelli esplicitamente previsti dalla disciplina (ad esempio per le trasferte) oppure a fronte di anticipi effettuati nell’esclusivo interesse del datore di lavoro, come per l’acquisto della carta della stampante e delle batterie della calcolatrice.
Tuttavia, considerato che sarebbe impraticabile per l’azienda sottoscrivere singoli contratti di fornitura di energia elettrica per ciascuna abitazione dei driver e visto che con le wallbox è possibile conoscere l’esatto consumo di energia relativo alle ricariche, il datore di lavoro potrebbe rimborsare direttamente il dipendente, senza alcun arricchimento per questi, ove venisse tenuto debitamente conto del costo unitario effettivo dell’energia indicato nella bolletta del lavoratore.
In tale ottica, certamente più circostanziata e diversa da quella prospettata dall’istante nella domanda di interpello 421/2023, le Entrate potrebbero riconoscere che un meccanismo di rimborsi di ricariche elettriche al dipendente, adeguatamente impostato e avente meramente carattere risarcitorio, non può che avvenire nell’esclusivo interesse del datore di lavoro, visto anche che i costi di ricarica presso le colonnine pubbliche sono superiori mediamente di circa il 50% rispetto a quelli casalinghi.
Fonte